Il concetto di reciprocità ha molto a che fare con un’immagine, che è quella della bilancia; dopo vedremo perché.

Pensiamo a certe fasi, a certi periodici della nostra vita. Quali sono quelli che ricordiamo come “positivi”? Solitamente si tratta di periodi in cui, al di là delle maggiori o minori difficoltà, la nostra persona era, complessivamente, “armonica”. Solitamente questa sensazione di armonia è accompagnata da un senso di leggerezza interiore. Ecco perché certe volte possiamo avere un ricordo tutto sommato buono di un periodo grigio, o, viceversa, un cattivo o un ricordo neutro di quello che in generale può essere considerato un buon periodo.

In un certo senso, la memoria fa infatti riferimento al nostro Sé, ne è influenzata perché il nostro Sé attuale influisce sulla percezione degli eventi e sulla memoria dei periodi.

La reciprocità è un concetto trasversale in Psicologia.

In Psicologia Sociale , è un concetto riferito al osare/avere interpersonale e alle aspettative che vengono a crearsi quando viene fatto un gesto “altruistico” verso un’altra persona.

In Psicologia Clinica il concetto viene declinato in un’accezione più affettiva: la reciprocità è la relazione che viene a instaurarsi tra due individui, ognuno dei quali ha peculiari bisogni emozionali. Si fa qui riferimento alle relazioni amorose, amichevoli, familiari.

L’immagine della bilancia serve a spiegare il concetto di reciprocità in termini molto semplici e immediati.

Riferendoci alla relazione con gli altri, ci si può sentire in armonia con gli altri se ciò che diamo corrisponde a ciò che riceviamo. La bilancia non pende né da un lato, né dall’altro. Questo, non tanto in termini materiali, ma soprattutto, quando si parla di relazioni, in termini emozionali.

Ci sono alcuni segnali interni utili a mettere a fuoco prontamente il livello di bilanciamento/sbilanciamento di una relazione:

• Se mi ascolto intimamente sento un po’ di fatica o di rabbia nel cercare/nel rivolgermi a quella persona?
• Se mi ascolto intimamente, sento una sensazione leggerezza o di pesantezza pensando ai momenti trascorsi ultimamente con quella persona?
• Sempre se mi ascolto intimamente, cosa sento di osare emotivamente a quella persona e cosa sento di ‘ricevere’ costruttivamente da lei?
• Se mi guardo da fuori, che immagine vedo di me?

Le risposte a queste domande possono osare un’idea del bilanciamento o meno di quella relazione secondo la percezione e secondo il valore attribuito ai propri gesti e a quelli altrui. Quando si parla di relazioni, ricordiamoci infatti che non esistono relazioni “perfette”, ma relazioni in cui la nostra persona e l’altro hanno lo stesso spazio in termini di valore e di espressione di sé .

Non abbiamo potere sul comportamento dell’altro. Quello che possiamo scegliere è di vivere armonicamente ..con la nostra persona. Per fa questo, occorre assumerci un’unica responsabilità: quella del nostro sentire.

E qui il concetto di reciprocità può assumere una terza declinazione. Reciprocità è il rapporto che ho con la mia persona, con il mio essere-in-divenire .

Siamo animali sociali, che hanno la possibilità, durante tutta l’esistenza, di evolvere. Di vivere ogni esperienza di vita come un’occasione di miglioramento. Ma anche di involvere.

Possiamo quindi chiederci come stiamo trattando la nostra persona, la nostra energia psicologica, le nostre inclinazioni.

In un certo senso, la vita intera è una continua occasione di affinamento della reciprocità con noi stessi, attraverso le relazioni con gli altri. Da questo punto di vista, certi allontanamenti non sono che bisogni emozionali che non si incontrano più.

Motore della reciprocità, nonché fa della bilancia interiore e delle bilance relazionali, è il processo di sintonizzazione emotiva: sentiamo emozioni che hanno un sentiero comune.
Tuttavia, un altro motore importante è quello dei significati: sentiamo emozioni alle quali attribuiamo un significato comune o diverso ma compatibile.

Osservare la reciprocità in cui siamo immersi permette di tenerci alla larga da meccanismi d’uso o da relazioni vuote, favorendo il processo di evoluzione individuale che può delinearsi su piani diversi (non migliori, né peggiori) di quelli delle persone che, a loro volta, sono impegnate nei loro processi di evoluzione, intorno a noi e, magari, anche attraverso noi.

“La scarpa che sta bene ad una persona sta stretta ad un altra: non c’è una ricetta di vita che vada bene per tutti” (Carl Gustav Jung)

Dott.ssa Elena Lensi
Psicologia
Psicoterapeuta
Specialista in Psicologia Clinica
Esperta in Tecniche di Ipnosi Clinica
(OPT n. 4239)